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.Coordinavano inoltre l'esercizio in connessione dei quattro grandi gestori delle reti di trasmissione in tutta la Germania.Si occupavano anche del coordinamento e del bilanciamento del sistema per la parte settentrionale della rete di trasmissione europea, che comprendeva il Belgio, la Bulgaria, la Germania, i Paesi Bassi, l'Austria, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria.Dalla liberalizzazione dei mercati dell'energia elettrica, avvenuta alcuni anni prima, quei compiti erano diventati sempre più importanti e, allo stesso tempo, sempre più complessi.L'elettricità viaggiava attraverso l'Europa, spostandosi dai luoghi di produzione a quelli di maggiore fabbisogno.Se di sera, durante i momenti di carico massimo, gli austriaci non riuscivano a produrre abbastanza elettricità, l'energia delle centrali nucleari slovacche copriva automaticamente il fabbisogno.Qualche ora dopo, le centrali termiche della Spagna aiutavano i francesi a soddisfare la richiesta.Un continuo dare e ricevere.Così l'elettricità si distribuiva uniformemente in tutta l'Europa, attraverso le reti dell'alta tensione fino alle reti di distribuzione regionali, mantenendo il delicato equilibrio tra produttori e consumatori.Pewalski temeva tuttavia che quell'equilibrio fosse stato scompaginato in alcune parti del continente.«È ancora peggio del 2006», commentò un secondo operatore.Pewalski ricordò che l'uomo era presente quando, la sera del 4 novembre 2006, l'E.ON aveva disattivato una linea dell'alta tensione senza dare nessun preavviso alle reti vicine.Una nave da crociera proveniente dal cantiere interno di Papenburg aveva dovuto essere trasportata in sicurezza lungo i canali fino alla costa.La linea di connessione di Landesbergen-Wehrendorf era andata subito in sovraccarico ed era stata disattivata in automatico.In seguito si erano spente le linee di tutta l'Europa.Benché Pewalski e i suoi colleghi si fossero fatti in quattro, alla fine erano dovuti restare a guardare mentre circa quindici milioni di persone in tutto il continente perdevano la fornitura elettrica.Loro e i team internazionali erano riusciti a ripristinare il servizio solo dopo un'ora e mezzo, evitando per un pelo il collasso dell'intera rete europea.La situazione attuale era assai più drammatica.«Ora anche la Repubblica Ceca è completamente rossa», annunciò il ragazzo.Nel 2006 l'Europa era divisa, da ovest a est, in tre blocchi di tensione di frequenza diversa.Solo quello centrale era stato interessato dai blackout.In realtà, in casi simili, gli esperti avevano sempre contato sul divario tra i grandi produttori del Nord e i grandi consumatori del Sud.Adesso le circostanze erano diverse.Venti minuti prima, gli italiani avevano segnalato i primi problemi.La causa era ancora ignota e i tentativi di ripristino si erano risolti in un nulla di fatto.Già durante il collasso nel Sud si erano registrate gravi difficoltà prima in Svezia e poi anche nel resto della Scandinavia.Evidentemente il maltempo invernale mieteva vittime nelle aree più disparate dell'Europa proprio nel momento meno opportuno.«Dobbiamo mantenere attiva la rete tedesca a ogni costo, per non interrompere anche le connessioni tra Ovest ed Est», dichiarò Pewalski.Nella stanza regnava il caos.Gli operatori deviavano la corrente sulle linee ancora libere, disattivavano le centrali, ne azionavano altre e inviavano l'energia in eccesso alle centrali di punta ancora in grado di assorbirla.Oppure, all'occorrenza, distaccavano il carico, costringendo così alcune fabbriche a una pausa forzata oppure lasciando al buio migliaia di persone.Pewalski vide che sul tabellone nuove linee s'illuminavano di rosso.«Altri blackout per l'E.ON e la Vattenfall.»Altre linee lampeggiarono di giallo per qualche istante.«L'Austria occidentale sta cercando di riattivarsi.»Poi ancora rosso.«Non ce l'ha fatta.»Pewalski si sforzò di apparire calmo, ma i pensieri gli si accavallavano nella mente.Finché in vaste zone dell'Europa si produceva e si consumava abbastanza elettricità, era possibile ripristinare le reti guaste in tempi relativamente brevi.In caso di blackout totale, le cose erano diverse.Un reattore nucleare o una centrale a carbone non si riaccendeva nel giro di qualche minuto come una centrale con turbine a gas o a ripompaggio, certamente non senza l'aiuto iniziale dell'energia proveniente dall'esterno.Se tutte le centrali nucleari francesi si fossero spente, la grande nation avrebbe dovuto rinunciare per ore -se non addirittura per giorni - a gran parte della propria produzione energetica.Purtroppo le reti vicine non erano in grado di stabilizzare rapidamente quella francese.Per un motivo o per l'altro, lo stesso valeva per tutti gli altri Paesi.«La Spagna è diventata gialla.»«Okay, basta così», disse Pewalski, deciso.«Chiudiamo la Germania.» A voce più bassa aggiunse: «Sempre ammesso che sia ancora possibile».Qualche chilometro da Lindau«Speriamo che la benzina basti», disse Chloé Terbanten.Sonja Angström spostò l'attenzione dal paesaggio innevato lungo l'autostrada al cruscotto.Sedeva con Lara Bondoni sul sedile posteriore, mentre Terbanten guidava l'automobile e Fleur van Kaalden si batteva la mano sulla coscia a ritmo della musica trasmessa dalla radio.«Forse, per sicurezza, dovremmo fare un altro pieno in Germania», propose van Kaalden.Dovevano essere vicine al confine austriaco, a circa un'ora dalla baita che avevano prenotato per la settimana successiva.A destra e a sinistra comparivano già le propaggini delle Alpi, illuminate dai raggi della luna che faceva capolino di tanto in tanto tra le nuvole.Qua e là Angström distinse i contorni di alcune fattorie i cui abitanti dovevano andare a dormire molto presto, a giudicare dalle finestre buie
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